lunedì 10 marzo 2025

Aikido: l'8 m'arzo... e le 9 me risiedo?

É appena passato l'ennesima festa della donna e, visto il prolificare di eventi "marziali" di ogni tipo, dedicati alla difesa della donna, contro la violenza di genere, al diritto delle donne di fermare le violenze subite, etc... sento l'esigenza di fare alcune considerazioni su questo tema, ad oltre 17 anni dalla volta in cui ne abbiamo parlato insieme (trovate QUI il Post).

DISCLAIMER: siccome esprimerò un parere molto personale, comprendo bene che non sia facile che siano tutti d'accordo con me, tuttavia non siamo qui per "concordare", ma per crescere... quindi se ciò che scrivo vi fa troppo male, potrete sempre cliccare altrove, oppure chiedervi il perché generi in voi questa reazione...

Trovo veramente stomachevole, ipocrita ed assurdo che ai nostri giorni debbano ancora esserci occasioni per ricordarci l'importanza del gentil sesso, l'esigenza di non mancarle di rispetto, di evitare ogni forma di violenza su di esso... e così via!

Ed altrettanto stomachevole che il mondo cosiddetto "marziale" approfitti di un'occasione simile per riciclarsi in nuovo corsi acchiappa-citrulli ("citrulle", in questo caso).

Se la donna ha una sua sacralità, non dovrebbe essere un giorno del calendario a farcelo tenere a mente: preferirei un anno solare nel quale per 354 giorni si onora lo yin e chi si è fisicamente vestita di questa specifica polarità, pure sotto il punto di vista fisico... ed un giorno - l'8 marzo - nel quale non se ne parli proprio!

In questo caso, questo concetto sarebbe divenuto CULTURALE: nel caso in cui invece abbiamo bisogno del calendario per ricordarci di qualche valore... allora è segno che siamo distanti dall'averlo fatto veramente nostro.

Ma la stessa cosa dicasi per Natale, la festa dei defunti, San Valentino... ed altre amenità simili, che per me in una civiltà matura dovrebbero semplicemente SCOMPARIRE.

Che senso ha avere un giorno particolare in cui "siamo tutti più buoni", in cui "ricordiamo chi ci ha preceduto su questa terra", in cui "celebriamo l'amore verso il nostro partner"... se ciò fosse già la routine quotidiana? 

Buoni oggi e torniamo carogne domani?

Rispettosi oggi, per tornare oltraggiosi domani?

Capite l'assurdità dell'incoerenza e della manipolazione che facciamo su noi stessi? Stiamo ammettendo così il nostro infantilismo...

Abbiamo pure un giorno all'anno per celebrare valori importanti, come l'8 marzo, cosa volete di più: sono ben 24 ore, 1440 minuti, 86400 secondi all'anno per condannare qualsiasi sopruso che viene fatto su una donna.

Invece, negli altri 31.500.000 (trentun MILIONI e cinquecentomila) secondi all'anno facciamo un po' ciò che ci pare, vero?!

Per quanto concerne le iniziative prettamente "marziali" dedicate alla donna, temo di intravvedere lo stesso rischio di manipolazione ed inconcludenza.

La violenza (di qualsiasi genere) nasce SEMPRE quando non si hanno modalità più costruttive di esprimere un disagio: sotto questo punto di vista, il violento è la prima vittima di se stesso... prima ancora di essere il carnefice di qualcun altro!

Se poi questa violenza viene fatta a terzi, uomini o donne che siano, è segno che mentre qualcuno non è capace di esprimere il suo disagio in modo più costruttivo... c'è qualcun altro che crede di dover essere lo sfogo del disagio altrui, salvo poi lamentarsi di come questo impatta negativamente sulla propria esistenza.

Questi sono i prodromi.

Una donna che è vittima di violenza (di qualunque genere) è una persona che non ha chiaro il proprio valore ed il suo diritto a non essere il cestino dell'immondizia dei problemi altrui; e la stessa cosa accade quando la vittima di violenza è un uomo. Non ci sono quindi "colpe", ma precise responsabilità da assumersi.

Chi se ne frega del sesso di chi riceve soprusi?! Se sono da eliminare, sono da eliminare, NON solo una certa loro tipologia!

I luoghi comuni vedono le donne "più deboli" e quindi più facilmente vittimizzabili, ma questa è una storiella risibile almeno quanto falsa: le donne sono MUSCOLARMENTE forse più deboli degli uomini, ma psico-fisicamente molto più resistenti di questi ultimi, per mero esempio.

E se fossi più debole per via dei miei bicipiti NON andrei mai in un luogo nel quale mi insegnano a farmi rispettare contraendo o GONFIANDO i miei bicipiti!

Non è diventando "mascolina" che una donna può trovare rispetto dall'altro sesso, quanto comprendendo qual' è il suo posto nel mondo, il suo valore, significato e scopo. Insegnano queste cose i famosi "corsi di auto-difesa femminile"?

Direi di no (ne avrò visti una ventina negli ultimi 10 anni): insegnano come scappare ad una presa, come chiedere aiuto durante una violenza, quali punti dolorosi colpire al proprio aggressore.

Dal mio punto di vista, cioè, insegnano come asciugarsi i capelli per non prendere freddo... dopo che uno è semi affogato nel Mar Glaciale Artico. NON colgono nel punto, e non per mancanza di volontà, ma di strumenti specifici e del tempo necessario.

OGNI volta che una persona ha voluto fare una qualche forma di differenza con se stessa è dovuta ricorrere ad una disciplina, un percorso, spesso della durata di ANNI (se non decenni), grazie al quale è stato/a in grado di andare ad esaminare quegli aspetti (di natura perlopiù psico-fisica) che facevano scattare delle trappole dalle quali poi era complicato uscire (come quella della violenza).

Duro da accettare, ma la violenza SUBITA è una "malattia" paragonabile alla violenza INFERTA, non è meno grave, non implica meno responsabilità... ma questo è un aspetto che - per mero buonismo - facciamo fatica a considerare ed accettare. Ci pare che "accada", senza alcuna volontà da parte della vittima, ma perché abbiamo una scarsa consapevolezza del fenomeno che osserviamo.

Ed oltretutto NON è diventando VIOLENTI a nostra volta che si può eliminare la violenza: essa non va lasciata agire sin dell'inizio, non va "contrastata".

Noi siamo "contro" un sacco di cose al giorno d'oggi: la violenza, il cancro, l'immigrazione, il governo, l'obesità, i dazi... ma cosa accade quando mi metto CONTRO qualcosa?

O sono più forte io di ciò a cui mi metto contro, e - con un po' di prepotenza - lo BATTO, lo SCONFIGGO, lo ASFALTO (diventando però l'aggressivo che dico di voler "combattere"), oppure avrò la peggio: leggi questa cosa come "o perdo" o "vinco" in modo indegno, servendomi degli stessi metodi che desidererei vedere eliminati e che non approvo.

Evidente che si va incontro ad una falsa soluzione, no?

Devo invece andare alla RADICE del problema e chiedermi COSA veicola la violenza e quale incomprensione di fondo (di me e dell'altro) non è stata onorata a dovere: così si può rispondere alla violenza in modo nuovo, proattivo e - soprattuto - NON VIOLENTO a nostra volta.

E questa cosa non la si fa in una lezione di auto-difesa gratuita in occasione dell'8 marzo, ma in un percorso SCELTO, mediamente non breve, pure impegnativo, supervisionato da professionisti che vedo poco operare nei corsi di Arti Marziali più comuni.

Ci sono Insegnanti di Aikido (e di Arti Marziali, più in generale) che promuovo questi corsi dai quali non mi lascerei nemmeno allacciare la cintura bianca... da tanto che sono grezzi, ignoranti, incasinati per primi loro con loro stessi!

Poi il colmo è un corso di difesa per la donna diretto da un UOMO: ma mettici una DONNA che ha già imparato a farsi rispettare... così sarà un buon esempio e potrà insegnare ad altre come lei, no?!

Se mi venisse detto che questa cose servono a "sensibilizzare" sull'argomento - nuovamente - risponderei che la toppa è peggio del buco!

Se c'è da "sensibilizzare", significa che c'è ancora POCA consapevolezza... e se è così, è segno che queste cose è ancora necessario che accadano (per quanto sia tremendo): le cose essenziali ci vengono da dentro, non perché guardiamo il telegiornale (che risulta mediamente più una cozzaglia di pattume che altro).

Prendiamo ad esempio un altro ambito: è intelligente mettere un banchetto che pubblicizza cibo sano di fronte ad un MC Donald? Forse è possibile, ma pure INUTILE... perché se entri in un fast food è segno che il cibo sano non è esattamente la tua esigenza più impellente (almeno quel giorno)!

Un altro ambito ancora: è intelligente combattere la prostituzione arrestando di notte le ragazze nelle strade di periferia... senza agire sul vero problema, che è costituito dal numero ingente dei loro clienti? NO clienti, ZERO prostituzione... tanti clienti, di sicuro qualcuno troverà il modo di far spendere i loro soldi!

Analogamente: a cosa serve pubblicizzare, sensibilizzare la cultura del rispetto (su uomini o donne, il rispetto non ha sesso, né età) in una società che non sente ESIGENZA di rispetto, ma - anzi - si lascia volentieri irretire da abitudini che con il rispetto non hanno nulla a che fare?

Serve il femminicidio per far "svegliare" la popolazione al fatto che ci stiamo muovendo verso l'orlo di un precipizio sociale?

Così ci indigniamo tutti 10 minuti e poi ci giriamo dall'altra parte e ricominciamo a fare la vita di prima, senza nessun vero cambiamento sostanziale?

Sembrano domande sceme, ma se provassimo a rifletterci un attimo, comprenderemmo quanto sia imbecille offrire corsi che non servono a persone che non hanno ancora compreso di avere un problema...

Quindi forse non dovremmo fare nulla? C'è una soluzione? 

Si potrebbe iniziare da SCUOLA, dall'asilo forse addirittura... ed instillare una CULTURA del rispetto, che però è difficile, quanto scomoda: complicata perché va nella direzione opposta alla tendenza competitiva e materialista della nostra società... e scomoda perché se le persone avessero più cultura del rispetto - per primo quella del rispetto verso se stessi - sarebbero molto difficilmente manipolabili.

Ed a nessun Governo interessa avere cittadini poco manipolabili, anzi, più imbecilli sono e meglio si pascolano le proprie pecore. I Governi attuali (tutti) NON sono li per esprimere la volontà dei loro cittadini, ma per far si che i cittadini esprimano la volontà di chi li governa, così da avere l'autorizzazione a fare ciò che si vuole sulla pelle di questi ultimi. Ovvio che servano persone manipolabili!

Prendiamo ad esempio la pandemia: voi credete davvero che una persona che ha la cultura del rispetto (di sé) si lascerebbe vaccinare per legge (come è successo da noi agli over 50), essendo però anche obbligata a firmare un consenso che manleva da ogni responsabilità lo stesso Ente che l'ha obbligata?

Se è facoltativo le responsabilità me le devo assumere io, ma se mi obblighi le responsabilità te le becchi tutte tu. Noi siamo stati prima ricattati, poi lasciati soli nelle eventuali conseguenze: vi pare un modus operandi "rispettoso"?

Credete davvero che una società che ha la cultura del rispetto acconsentirebbe alla dinamica che per acquistare un telefonino o qualsiasi device si debba accettare incondizionatamente le policy della ditta costruttrice se poi si vuole essere in grado di usarlo?

Pensate sul serio che una persona che ha la cultura del rispetto (di sé) diverrebbe cliente di una banca o di una compagnia telefonica in grado di modificare a suo piacimento ed unilateralmente il contratto che è stato sottoscritto?

Questi sono tutti esempi presi dai campi più disparati, che però hanno in comune l'abuso di potere di una parte su un'altra, conseguente all'abitudine diffusa a non rispettare ed a non pretendere di essere rispettati: la violenza (sulla donna, sull'uomo, sugli animali o sulle piante) nasce da qui... dal diritto che si arroga qualcuno di poter ingerire su un altro essere senza farsi SCHIFO da solo... e senza che chi gli è attorno gli rimandi quando faccia schifo!

E si concluderebbe se l'altro essere gli dicesse un semplice "NO", con gentilezza, fermezza e determinazione allo stesso tempo: tutte le altre cose risultano un orpello.

Ma per avere FERMEZZA, GENTILEZZA e DETERMINAZIONE allo stesso tempo è necessario avere le idee ben chiare su cosa si può accettare e cosa ci risulta inaccettabile... ovvero avere CONSAPEVOLEZZA: ed è propio questa ora a mancare, e non il know how di uscire da una presa ai polsi!

E se propio vogliamo vederlo relativo ai sessi,  il problema risulta duplice e concatenato: le donne devono imparare a farsi rispettare e gli uomini ad essere rispettosi... è sciocco affrontarlo solo da un versate!

Al momento quindi non se ne esce, secondo me, anche perché non se ne vuole veramente uscire, collettivamente parlando: certo che veicolare messaggi relativi al rispetto fa di certo più bene che male, ma occhio a non fare la goccia di acqua pura in un oceano di immondizia... e poi lamentarsi che i propri sforzi non mostrano grandi risultati!

Il mio contributo è diverso, non so quanto significativo, ma sicuramente DIVERSO: porto avanti corsi per chiunque 365 giorni all'anno (o poco meno), nei quali la cultura del RISPETTO e la possibilità di esplorare se stessi va ben al di là di una giornata di attività gratuita, o del sesso di chi vi partecipa.

Ovvio che posso lavorare solo con chi è fortemente motivato a farlo, visto che ci vanno tempo, energie e risorse da dedicare... ma tanto con gli altri sono certo che funzionerebbe poco nulla...

Se poi i corsi di Aikido NON sono frequentati da donne, chiediamoci collettivamente il perché, oltre che fare degli open day glitterati rosa e fuxia, con pizzi e merletti...

Basta quindi "l'8 marzo = lotto e ti ammarzo", anche "l'8 m'arzo, e le 9 me risiedo": questa ginnastica non è mai stata utile a chi vuole affrontare sul serio il problema, ed anche rischiare di risolverlo.

La cultura del rispetto NON ha sesso e la consapevolezza si crea nell'ordinario, non un giorno all'anno e per una determinata fetta della popolazione.


Marco Rubatto



lunedì 3 marzo 2025

Evolutionary Aikido: il punto della situazione

É da un bel po' che non vi parlo più di un tema che ha cambiato profondamente la mia visione, la mia pratica e il mio modo di insegnare Aikido... correva infatti l'anno 2015 in cui sul Blog avevamo provato a descrivere il movimento al quale avevo scelto di appartenere fin dal 2003 (potrete leggere QUI l'articolo).

A 10 anni precisi da quel Post, sono in grado di portarvi l'esperienza maturata nel mentre e rimandarvi con più chiarezza di qualcosa che è iniziato nel passato, ma che ora sono ben cosciente che non finirà di occuparmi fino a quando mi dedicherò a questa disciplina... sto parlando dell'opportunità di crescere ed evolvere tramite la pratica dell'Aikido.

Apprendere attraverso le esperienze che facciamo sembrerebbe qualcosa di lapalissiano in qualsiasi disciplina praticata nel mondo... dalle Arti Marziali allo scopone scientifico, dalla matematica all'Ikebana... ma dedicarsi anima e corpo allo studio, alla pratica ed all'insegnamento dell'Aikido in modo tale che questa esperienza possa massimizzarsi è qualcosa di ancora troppo raro, secondo me.

L'Evolutionary Aikido è proprio questo: esiste una Community di Insegnanti internazionali Aikikai e di praticanti che si dedicano a studiare e promuovere ogni pratica utile ad acquisire consapevolezza sulla disciplina, sia utilizzando le metodologie più tradizionali, che attingendo a mani basse alle novità emergenti e più interessanti delle neuroscienze, della psicologia e di ogni altra attività umana volta alla scoperta si sé.

Questo può essere visto come un "tradimento" delle sacre tradizioni nipponiche, da parte di alcuni... ma vi posso testimoniare di prima pelle che funziona maledettamente!

Un tempo ero più impegnato a sentirmi parte di un movimento specifico, ad uno stile specifico, ad una Scuola o Ente ben definiti: ora invece sono più preoccupato che ciò che faccio possa risultarmi utile alla mia crescita personale e possa agevolare il cammino di tutti coloro che accanto a me hanno deciso di fare altrettanto.

"Evolutionary Aikido" è si un gruppo ben definito di persone, ma è anche un modo di organizzare una lezione o di condurre un Seminar, ad esempio.

Da ben 19 anni, organizziamo un evento internazionale a Torino, nel quale coinvolgo più che volentieri il mio Insegnante, Patrick Cassidy Sensei,dan Aikikai, il primo week end di ogni marzo.

Il fatto che questo processo sia in continua crescita è - ad esempio - testimoniato dalla rara dinamica di overbooking dei partecipanti già 2 mesi prima dell'evento stesso, nonostante NON lo pubblicizzi praticamente per nulla.

Quanti sono i Seminar di Aikido che fanno il "tutto esaurito" da quasi 2 decenni e richiamano ogni anno partecipanti da diverse nazioni estere?

Quest'anno, ad esempio, abbiamo avuto partecipanti provenienti da diverse regioni italiane... svizzeri, francesi ed irlandesi: la preparazione dell'evento parte già un mesetto prima, con la raccolta delle quote interne, la decisione delle pulizie e dei turni comuni durante quei giorni: è un bel lavoro di team, che di anno in anno ha aiutato molto a formare e forgiare una squadra di una ventina di persone, che ora sarebbe in grado di organizzare senza problemi persino il matrimonio del futuro Doshu...

Il Seminar è filato liscio come l'olio: certo... per molti potrebbe suonare strano un evento che non sia di carattere esclusivamente tecnico, ma in realtà è proprio questo l'enorme potenziale legato ad un simile e specifico tipo di ritrovo.

Ciascuno di noi è "fermo" in un luogo ed un tempo determinati e, oltre a prendere nuovi strumenti per lavorare su di sé (quelli prettamente di origine tecnica), è bene che possa esternare le proprie esigenze e tendenze nella pratica, in modo personale e non mediato.

Un Seminar che quindi preveda una notevole parte ESPRESSIVA di chi vi partecipa consente proprio questo processo individuale, che ovviamente è differente ed unico per ciascuno.

In quest'ottica si esce dall'esigenza di copiare il movimento dell'Insegnate o di considerare "giusto" o "sbagliato" ciò che si fa in base a quanto somiglia (o meno) a quanto ha fatto il nostro modello tecnico di riferimento. Nell'esprimere se stessi, un principiante prova le stesse difficoltà di un praticante più esperto... se questi non l'ha mai fatto in precedenza.

Una visione dell'Aikido NON più quindi basata necessariamente su ciò che è "di base" oppure "avanzato"... ma su ciò che sentiamo più o meno appartenerci, cosa sentiamo più o meno ispirarci nella pratica.

Questo modo di fare, intervallato anche con qualche momento tecnico di tipo più tradizionale è anche divenuto il format di quando insegno, sia nelle lezioni regolari al Dojo, sia nei Seminar in giro per il globo.

E, torno a dire, funziona stramaledettamente!

É un po' come imbandire una tavola e metterci sopra cibo di tantissime tipologie e provenienze differenti... e lasciare che i commensali scelgano da sé di cosa nutrirsi, in base alla loro fame, alle loro intolleranze o bisogni specifici. É possibile addirittura cucinare INSIEME il cibo più nutriente e appetibile a chi si relaziona con noi.

La pratica basata sulla ripetizione è UNA delle opportunità che l'Aikido ci offre, ma solo perché è la più diffusa non è sinonimo che sia sempre quella più adatta o più proficua: seguire invece una tematica trasversale e provare ad offrire stimoli che possano giungere al praticante sia da fuori (dall'Insegnante e dai colleghi di pratica), sia dall'interno (la propria coscienza) credo sia il modo migliore per conoscere qualcosa ed aumentare la propria consapevolezza.

La ripetizione è utile nel momento nel quale si è capaci di afferrare solo un piccolo particolare alla volta; immaginiamoci di dover riempire di acqua una vasca da bagno con un cucchiaio da minestra: facilmente necessiteremo di svariate ripetizioni, poiché dentro il cucchiaio di acqua ce n'è sta poca...

Ma quante volte dovremmo ripetere il movimento se dovessimo riempire una vasca da bagno avendo a disposizione tutta l'acqua del mare?

Forse nemmeno una! La vasca da bagno si riempirebbe, lasciando pressoché invariato il livello del mare...

Ecco, la coscienza lavora più o meno nello stesso modo: non aggiungendo ogni volta un'informazione che mancava, ma realizzando che da sempre sapeva sia cosa mancasse, sia come riempire quel vuoto.

Addirittura, ogni tanto la coscienza arriva a realizzare che ciò che percepivamo come vuoto era già PIENO, anche se non ce ne eravamo mai accorti prima!

In questo, la coscienza di un bambino o di un principiante sa come "riempire il vuoto" esattamente come la conosce la coscienza di un praticante più esperto: per la prima volta, i gradi NON risultano più lo spartiacque di chi è sul tatami.

E qual'è allora questo spartiacque? La qualità dell'intenzione di vivere il processo di evoluzione, crescita e cambiamento.

Non più una pratica nella quale il principiante ha tutto da imparare e l'avanzato ha tutto da ribadire, ma nella quale ciascuno si ingaggia nel processo di acquisizione di consapevolezza e riceve frutti proporzionalmente a questo coinvolgimento. Tutto semplicemente qui!

Questo processo va nella stessa direzione del 2º Principio della Termodinamica, ovvero quello di una grandezza (l'entropia, ma in questo caso "la coscienza") che aumenta sempre e che non può più tornare indietro. É come far uscire il dentifricio dal tubetto, o aprire una scatola piena di vermi: praticamente impossibile rimettere le cose nella condizione di partenza!

Per questa ragione le attività basate su un Aikido che cerca la sua stessa consapevolezza hanno MOLTO più successo di mere sessioni di allenamento tecnico (che hanno comunque il loro perché, ma SOLO alla luce della consapevolezza che a loro volta sono in grado di apportare): ripetere meccanicamente un pattern senza consapevolezza è come apparecchiare una tavola con 100 stoviglie, ma non mangiare mai nulla di significativo.

Ma siccome si tratta di un'attività basata sull'esperienza PERSONALE, non mi aspetto che tutti coloro che non l'hanno mai provata la comprendano solo leggendo queste poche righe... Sono invece più che certo che si ritroveranno in esse le ormai centinaia di Aikidoka che sono negli anni venute a contatto di questo "metodo senza metodo" di praticare!

Mettere in prima posizione la qualità del proprio stare sul tatami, il rispetto dell'integrità propria ed altrui (sia a livello fisico, che mentale), comprendere i meccanismi con i quali "la mente muove il corpo", oppure con i quali "il corpo muove la mente"... basarsi su una pratica psico-fisica tramite la quale alla fine del keiko stiamo MEGLIO, rispetto a quando abbiamo iniziato... con le articolazione sane, la mente più serena ed il cuore più pieno... è esattamente la direzione che percorriamo in ogni sessione dell'Evolutionary Aikido.

E già questo è veramente tanta roba: qualcosa ciò che dovrebbe sulla carta essere proprio di ogni modalità di pratica dell'Aikido, mentre sanno bene quanto tutto ciò non sia così comune le persone che calcano il tatami già da qualche tempo. 

Si pensa forse in modo errato che dietro ad un nome si debba per forza nascondere uno stile specifico di pratica, una didattica peculiare... ma siamo molto distanti dalla realtà: nel nostro caso abbiamo provato a caratterizzare solo la volontà di fare il prossimo passo verso noi stessi (ed il prossimo, in simultanea), facendoci custodi di ciò che per noi ha un valore da condividere e scegliendo, di volta in volta, ogni modalità possibile che ci permette di renderlo concreto e manifesto in un Dojo, così come nella vita quotidiana.

E funziona, ed è bello ed emozionante: perciò credo che sia il futuro... perlomeno il mio!


Marco Rubatto







lunedì 24 febbraio 2025

La didattica può pervertire l'Aikido?

Altro tema delicato, ma molto importante quest'oggi, ovvero... quando la didattica cessa di essere utile ed inizia a trasformarsi in una trappola.

Ogni Scuola di Aikido, dalle più morbide alle più marziali, si è dotata di strumenti per l'apprendimento, che erano fra l'altro completamente assenti all'epoca del Fondatore. Queste metodologie si possono oggi raggruppare sotto il termiche più generale "didattica".

Ho espresso più volte, sia verbalmente, sia su questo Blog come la didattica e la pratica siano due aspetti strettamente correlati (ci ho scritto pure un libro di quasi 300 pagine a riguardo!), ma non necessariamente specchiabili l'una nell'altra.

Quando si impara a guidare - per esempio - le varie Scuole Guida impostano per gli allievi una serie di "buone prassi" molto chiare, ma che difficilmente potranno poi essere utilizzate in una guida realistica e matura. Sono, appunto, "strumenti didattici"... utili per "imparare a guidare", così che sia poi il guidatore a comprendere quando ed in che misura farne utilizzo nelle situazioni reali che si troverà a vivere.

La perversione dell'Aikido della quale parliamo oggi è quando gli strumenti didattici vengono decontestualizzati dalla loro funzione e si inizia a crederli invece determinanti per una pratica matura: una sorta di indottrinamento alfabetico che poi verrebbe da credere indispensabile per parlare di Aikido con il proprio corpo.

I pericolosi effetti collaterali sono principalmente 2:

- il primo è che si diventa incapaci di "dialogare" con chi ha strumenti didattici diversi dai propri

- in secondo è che ci si frustra parecchio quando ci si sveglia alla realtà e si comprende quanto essi erano relativi ed utilizzabili solo temporaneamente.

Per fare questa trattazione, prenderò ad esempio limite due didattiche polari ed opposte, ovvero l'Iwama Ryu e l'Aikikai Tissier, così da evidenziare luci ed ombre dei loro approcci e favorire una comprensione più profonda di quando l'Aikido può pervertirsi senza nemmeno accorgersene.
Poi, utilizzate questo parallelo per esaminare criticamente per la didattica del vostro Shihan o Scuola preferiti... tanto non cambierà nulla!

L'Iwama Ryu si avvale di un vasto repertorio di base, comunemente detto [基本] "kihon" nella Arti Marziali giapponesi.

Secondo questa impostazione, e per ragioni storiche piuttosto comprovate, i principianti iniziano il loro apprendimento tecnico con posture e prese di tipo statico: in questi attacchi è necessario esprimere il 100% della connessione e dell'intenzione di uke di mandare energia nel centro di tori. La marzialità dell'attacco viene vissuta come prioritaria, sebbene avvenga in modo poco o niente dinamico.

Questa didattica mira a rendere consapevoli i praticanti delle geometrie e degli angoli migliori per liberarsi dai punti di presa ed operare le tecniche sul proprio compagno di pratica. A parte alcune (poche) pratiche, l'allenamento dinamico tende ad essere sconsigliato fino a 2º dan, nelle Scuole più tradizionali.

Al contrario di ciò che abbiamo appena detto, l'Aikikai del Mº Tissier (che pur fortemente influenzato dall'Aikikai dell'Honbu Dojo, ora appare un prodotto molto differente da quanto si pratica a Tokyo) tende ad avere una didattica nella quale tori ed uke cooperano per ottenere una forma tecnica prestabilita, basata su alcuni principi (la centratura, l'equilibrio, lo sbilanciamento, il non eccessivo utilizzo di forza muscolare, etc)... e lo fanno fin da subito in una forma dinamica [気の流れ] "ki no nagare", dapprima più lenta e che poi tende a divenire più veloce, man mano che la perizia e l'esperienza degli Aikidoka aumenta.

Siamo quindi in presenza di due "Scuole Guida" molto diverse per Aikidoka, ma posso garantire che ciascuna di esse offre elementi molto positivi e strutturanti, se saputi cogliere!

Ora invece parliamo di quando queste didattiche possono condurre a misinterpretare l'Aikido che si erano promesse invece di agevolare...

L'Iwama Ryu tende a far permanere in uno stato solido e poco mobile gli allievi per molto tempo, non agevolando loro la scoperta del senso del timing (che avviene prima nell'utilizzo delle armi, rispetto al taijutsu), se non a seguito di una discreta esperienza sul tatami: quando il loro attaccante si mette a punzecchiarli in modo più dinamico spesso essi "cadono dal pero"... poiché inabituati a fare tutto ciò che hanno sempre fatto... in modo più flessibile, naturale e solerte.

Essere solidi è un valore aggiunto, ma se portato all'estremo diviene "rigidezza", che invece non risulta esserlo altrettanto. Inoltre la didattica di Iwama, alla lunga, tende a far credere che la modalità di attacco forte e statica sia anche "reale"... ma non lo è per nulla!

Un aggressore, pur fortemente motivato, ci lascia andare non appena si rende conto che la sua presa lo sta mettendo in una situazione di squilibrio, e - piuttosto - ci prende in un altro modo, con una geometria più variabile ed ad a lui più favorevole. Un attacco reale è si forte, ma anche rapidamente mutevole, il che costringe ad avere una buona consapevolezza del timing... che non è bene aspettare 15 anni di tatami prima di fare propria.

Lo abbiamo detto più di una volta: osservate un randori dell'Iwama Ryu... in 3 o 4 accerchiano tori e poi lo attaccano SOLO quando lo vedono libero o - peggio - quando lui si rivolge ad uno degli attaccanti.


Questo schema è DIDATTICAMENTE valido, poiché fa prendere confidenza con un esercizio complesso, semplificandolo... ma è anche molto distante dalla realtà!

In un randori gli aggressori dovrebbero poter attaccare tutti insieme, da direzioni differenti, come vogliono e con la velocità che credono: unica buona prassi è che per questioni di "lealtà" chi attacca alle spalle lo faccia tramite una presa e non con una percussione... ma - anche in questo caso - bisognerebbe abituarsi anche a randori "sleali", ad un certo punto!

Altrimenti, dove sarebbe finita quella "marzialità" che fino a poco fa pareva il valore aggiunto indispensabile alla pratica di questa Scuola?

Perché quando ci si allena in rapporto 1:1 il kaeshi waza (contro-tecnica) deve essere sempre in canna... ed ora che si fa il randori si è tutti a disposizione di tori?

Beh, questo i praticanti di Iwama - generalmente parlando - se lo chiedono fin troppo poco, secondo me.

Ora esaminiamo analogamente la "controparte"...

Le costruzioni tecniche proposte dall'Aikikai di Francia (ma molto utilizzate anche da noi) fanno un massiccio utilizzo di comportamenti che esortano uke a fare una determinata azione o a mantenere una determinata postura... con la motivazione DIDATTICA che questo atteggiamento mira ad aumentare la propria consapevolezza su cedevolezza, assi di sbilanciamento, recupero veloce del proprio baricentro nel caso in cui lo si fosse perso, etc...

Non intravedo in ciò un problema, ma nella misura nella quale non si inizia a credere che questa serie di "buone abitudini" siano anche quelle di cui ha esattamente bisogno il mio compagno per farsi venire la forma tecnica che sta eseguendo... perché se così fosse, avremmo estromesso completamente il conflitto dall'Aikido e staremmo creando una serie di figure coreografiche, magari anche esteticamente eleganti, ma NON eseguite da un attaccante e da un attaccato... quanto da due simil Aiki-ballerini o Aiki-praticanti di Yoga di coppia.

Un esempio fra tutti che mi colpì molto le prime volte che frequentai questa Scuola è rappresentato dalle tecniche di katame waza (ikkyo, nikyo, sankyo, etc) eseguite su katatedori gyaku hanmi.

Spesso infatti in questa Scuola si richiede di uscire dalla linea dell'attacco ed utilizzare la propria mano libera per sbilanciare uke, facendo una pressione centrifuga sul gomito di quest'ultimo.

Le prime esecuzioni che mi vedevano come uke di qualcuno non andarono benissimo, perché come il mio compagno mi premeva sul gomito, io lasciavo andare la presa e lo attaccavo con l'altro braccio (ero abituato al kaeshi waza sempre in canna, in un luogo nel quale - invece - non era nemmeno contemplabile!)

Mi spiegarono che "non avrei dovuto comportarmi così", ma avrei dovuto mantenere la presa al polso, anche se questa era la CAUSA di uno sbilanciamento che non ci sarebbe stato se avessi lasciato andare.

Così facendo però avrei imparato a lasciare andare il mio equilibrio e poi a riprenderlo nel più breve lasso di tempo possibile... tempo nel quale però "sfortunatamente" il mio compagno riusciva a farmi esattamente ciò che la tecnica prevedeva. Una sorta di profezia auto-avverante, cioè.



Dal mio punto di vista (cioè quello di un attaccante che non è li per fare ciò che vuole il mio compagno, ma per attaccare e basta) tutto questo aveva poco senso marziale, però constatavo che - se facevo come mi veniva detto - la forma tecnica risultava proprio come il Sensei aveva mostrato in precedenza.

Ora - anche in questo caso - se catechizzo gli uke a comportarsi in un certo modo è ok se sono spinto da ragioni DIDATTICHE, ma poi non devo iniziare a pensare che quel comportamento sarebbe un minimo specchiabile nei luoghi dove la didattica è differente.

Ricordo un Seminar con Saito Sensei ad Ostia nel quale egli ebbe a criticare esplicitamente il modo di fare iriminage di Tissier Sensei, poiché questi prevede prima di mandare a terra l'avversario e quindi di fargli iriminage mentre si rialza. Saito Sensei disse: "Sankai iriminage dame" ("Iriminage su 3 livelli è sbagliato"); "Se uno è per terra l'azione marziale è già finita li" (intendendo che non gli verrebbe nemmeno permesso di rialzarsi).


E se questo uke semplicemente NON si rialzasse (come facevo io, senza saperlo, le prime volte che venivo buttato giù)? Che iriminage gli si potrebbe fare?

Nessuno, infatti.

É sufficiente che l'attaccante non stia alle norme che tori presuppone ed a questi gli si rovina la coreografia senza nemmeno rendersene conto.

Ma se pratichiamo una forma di Budo, siamo certo che tutto debba risolversi ad ogni livello con una bella coreografia?

In punti differenti, queste 2 DIDATTICHE soffrono di un problema analogo: si semplifica l'azione (in un caso con la preponderante staticità, nell'altro con l'accondiscendenza piena fra i praticanti) per poter  apprendere uno schema motorio... poi ci si dimentica della semplificazione e si crede che quella didattica sia l'unico modo possibile per praticare.

Ne segue che un praticante della Scuola di Tissier non capisce un tubo se si approccia alla Scuola di Iwama, e viceversa... ovviamente!

Ma quella è la DIDATTICA, non è la pratica matura.

Arriviamo quindi all'ultimo punto della presente trattazione: perché questa perversione inconsapevole della propria pratica avviene ancora molte volte?

Per alcuni specifici motivi:

1 - il praticante medio dedica poco tempo alla sua formazione e spesso lascia la pratica ancora prima di essersene formato una visione più matura; ovvio che se faccio Aikido per 4 mesi e poi mollo, avrò preso per oro colato le strategie didattiche del luogo che ho frequentato (e solo quelle), senza nemmeno rendermi conto che lo fossero e di quanto lo fossero;

2 - è molto comodo un sistema didattico che aiuta i principianti a divenire consapevoli di alcuni aspetti che riteniamo importanti della pratica, ma NON è altrettanto semplice poi renderli consapevoli dei limiti stessi della metodologia che abbiamo utilizzato per loro; questo potrebbe farli sentire "traditi" e comunque li espone ad una frustrazione crescente, togliendo loro dei punti di riferimento... che si rivelano parzialmente falsi, ma anche rassicuranti al contempo;

3 - l'Insegnante tipo (e non parlo qui né di Saito Sensei, né di Tissier Sensei, che NON sono per nulla "Insegnanti tipo") è più avvezzo a creare cloni per compiacere il proprio ego, che a supportare l'emancipazione di coloro che per un certo periodo di tempo si sono sottoposti ai suoi insegnamenti; in questo senso è bene conoscere una ed una sola didattica ed approfondire quella, anziché andare in giro ad esplorare cosa di altro offre il mondo.

Come facciamo quindi a comprendere se la nostra pratica è uscita fuori da binari sani e la didattica che utilizziamo di solito sta diventando una sorta di catechismo al quale genuflettere la nostra fede più cieca?

Molto semplice: è sufficiente CAMBIARE tipo di pratica e constatare se ciò che abbiamo appreso fino ad oggi ci è di aiuto o meno anche nella condizione inedita. Più la nostra pratica è matura, più risulteremo capaci di utilizzare didattiche differenti per ottenere la medesima cosa, e più riusciremo a fare nostra qualsiasi altra didattica, perché conosciamo molto bene il nostro corpo e quello dei nostri compagni quando si relazionano fra loro, staticamente o dinamicamente che sia.

Chi non cambia mai "pollaio" è condannato a non comprendere mai fino in fondo la qualità del mangime del quale si è fino ad ora nutrito... credendolo l'unica cosa commestibile sulla faccia dell'Aiki-pianeta Terra.

In questo senso, mi sembra che il 95% degli Aikidoka sedicenti ESPERTI ami nutrirsi per lo più di cibo sintetico, purtroppo... anche se (e proprio perché) arriva SOLO dalla loro fabbrica di mangime preferito.

Marco Rubatto








lunedì 17 febbraio 2025

[間合い] Ma-Ai: la gestione dello spazio-tempo

Una delle sfide più complicate ed importanti da cogliere in Aikido è lo studio del famoso [間合い] "Ma-Ai", ovvero la gestione dello spazio e del tempo che ci separano nell'azione dal nostro compagno.

Iniziamo a sapere che il primo kanji utilizzato [間] "Ma", sta a significare "spazio (fra cose diverse); divario, intervallo, distanza"; il secondo kanji invece lo conosciamo già bene, poiché è quello con il quale inizia proprio la parola "Aikido" [合] e significa "armonico/armonizzato".

Ne segue che alcune delle migliori tradizioni di Ma-Ai possono essere: "distanza armonica", "intervallo armonico", spazio armonico (fra cose diverse)"...

Una delle prime cose che ci deve saltare all'occhio è che questo concetto racchiude in sé SIA considerazioni sullo SPAZIO, SIA sul TEMPO: come infatti ben si sa in fisica, lo spazio-tempo è un oggetto SOLO ed interdipendente. La nostra abitudine quindi - molto cartesiana - di scindere questo unicum, considerando alcune cose SOLO dipendenti dallo spazio (io sono qui, oppure sono li)... ed altre invece SOLO dipendenti dal tempo (io prima ero qui e dopo sarò li) è una semplificazione che può aiutarci (anche nella pratica), ma che risulta anche in fondamentalmente FALSA.

In un combattimento, riuscire a trovare lo spazio ed il tempo più armonici nei quali agire è sinonimo di padroneggiare un buon Ma-Ai. Ma questo è complicato, maledettamente complicato... poiché dipende da una miriade di variabili, tutte fra loro interdipendenti.

C'è come si muoverà il nostro compagno/avversario (che in uno scontro reale non è stabilito a priori): nella pratica decidiamo prima COME verremo attaccati, ma capite bene quale enorme semplificazione ciò risulti rispetto alla capacità di armonizzarsi con ciò che è ignoto, ed alla sue stessa velocità di movimento.

Poi c'è anche come ci muoveremo noi... quali saranno i nostri tempi di latenza, il nostro grado di coordinazione dei movimenti, etc...

Ecco diciamo che la velocità (che in fisica è un vettore, ovvero una "freccia" dotata di intensità, direzione e verso) è ben "imparantabile" con il Ma-Ai, visto che risulta proprio il rapporto fra spazio e tempo... ovvero con le due grandezze da rendere più "armoniche" possibile.

Ed ora non voglio farla troppo matematica, ma la velocità è complicata da gestire perché CAMBIA: prima il nostro attaccante è fermo, un secondo dopo abbiamo un suo pugno nello stomaco... segno che qualcosa si è mosso (sia lui, che il suo pugno), mentre qualcos'altro è rimasto fin troppo fermo (il nostro stomaco).

Se il nostro stomaco fosse capace di cambiare la sua velocità ESATTAMENTE come lo fa il pungo del nostro attaccante, questi non riuscirebbe mai a raggiungerci, o ci raggiungerebbe COME e DOVE vorremmo noi che lo facesse!

Questo ci prona a considerare un'altra grandezza, che è appunto l'accelerazione, ovvero la derivata prima della velocità, o la derivata seconda dello spazio (fine dei rudimenti di Fisica 1): il Ma-Ai è strettamente connesso con la velocità e l'accelerazione... a noi basti comprendere questo.


In questo video, il mio lavoro è stato quello di prendere la stessa velocità della mia compagna di pratica, alzando la spada di legno ESATTAMENTE all'unisono con lei: le distanze erano FALSE (almeno le prime 2 delle 3 mostrate)... poiché ken awase è un esercizio specificamente creato per lavorare sul TIMING più armonico (e non sullo spazio più armonico).

Ma cosa accade se io riesco a SPECCHIARE esattamente la velocità di chi mi sta dinnanzi?

Che qualsiasi sua accelerazione sarà anche la mia... qualsiasi sua decelerazione sarà altrettanto uguale alla mia: copiando la velocità, cioè, esco fuori dal problema della sua variazione (che è appunto l'accelerazione): se mi baso invece sull'azione conseguente allo stimolo che ricevo (visivo, auditivo e/o cinestesico... poco importa), avrò un tempo di reazione che mi impedirà - de facto - di muovermi COME lo fa il mio attaccante.

Mi muoverò un istante dopo, sarò in ritardo temporale rispetto a lui... poiché il tempo di latenza è piccolo, ma non è del tutto nullo, purtroppo.

Ne segue che l'Aikido NON può basare la sua azione sul binomio: "Quando vedo che mi attaccano così, io faccio cosà"... sarò sempre e comunque in ritardo, in questo modo. E fino a qui vi faccio presente che abbiamo parlato SOLO di timing.

Ma abbiamo visto che il Ma-Ai è inerente anche allo spazio armonico che si può creare fra uke e tori: come si fa quindi a studiare la distanza più opportuna?

Gli approcci sono molti, io vi parlo di quello che utilizzo di solito, poiché che al momento ha dato i suoi frutti migliori fra tutti quelli che ho provato: si fa l'operazione di SEMPLIFICAZIONE della realtà che si diceva poc'anzi, nella quale ci si interessa SOLO più della distanza, fregandosene del timing (ovvero come se lo spazio-tempo potesse essere appunto scisso in 2 fenomeni indipendenti).

Nel kihon di Iwama, spesso, si parte da fermi... e si cercano SOLO le distanze, gli angoli e le geometrie migliori fra se ed il proprio partner: un esercizio manifestamente falso in uno scontro reale, ma che risulta interessante per semplificare un problema che ha molte variabili simultanee (appunto come lo ha il Ma-Ai).

Guardate in questo video cosa intendo...


Prima ho eseguito l'esercizio partendo da fermo, con un compagno accondiscendente, che stava fermo a sua volta, che mi attendeva e si muoveva come un filo di ferro piegato, cioè andava dove lo mettevo... e così facendo ho studiato SOLO le distanze e gli angoli migliori... POI gli ho chiesto di attaccare dinamicamente, ed ho provato ad appiccicare gli stessi angoli e distanze ad un'azione della quale ho cercato di copiare le velocità: in questo modo ho ricomposto il Ma-Ai per intero, sia con la sua parte temporale, che con quella spaziale.

Ovvio che più gli esercizi sono di base, più è possibile applicare questo metodo... ma è anche dannatamente vero il contrario: più un'azione è dinamica e complessa, MENO questo metodo è applicabile, ed il Ma-Ai è necessario gestirselo TUTTO da subito e per intero!

Ad esempio, cosa avviene qui...


A complicare la gestione dello spazio-tempo in Aikido, esistono differenti modalità di gestire il punto di [当たり] "atari" ("incontro"):


- [後の先] go no sen ("dopo di prima")



Si tratta di lasciare "passare", o saper assorbire l'attacco/azione di uke... e quindi utilizzare quella stessa energia acquisita re-indirizzandola nella tecnica di risposta. Questa modalità è tipica delle tecniche "ura", oppure "hirai".


- [先の先] sen no sen ("prima di prima")

É la modalità nella quale il movimento di tori è simultaneo a quello del compagno: è ancora necessario una certa capacità di assorbire l'energia che ci viene inviata contro, per far si che le linee d'ingresso continuino ad essere curve ed armonica. Siamo nel caso delle tecniche "omote" ed "irimi", nelle quali l'entrata costituisce l'elemento preminente... ciò rende (di solito) più complicata l'esecuzione di "sen no sen", rispetto a quella di "go no sen".



- [先先の先] sen sen no sen ("ancora prima di prima")

Risulta un'attitudine che consente di anticipare il movimento di attacco, di solito con un'entrata diretta verso il centro dell'avversario: il senso del timing e quindi del Ma-Ai deve essere qui notevolmente sviluppato... tanto che - ad una visione esterna - potrebbe quasi apparire che sia tori ad attaccare uke, poiché quest'ultimo viene messo da subito solo nella condizione di ricevere, ma non gli consente di far esprimere il suo attacco (seconda perte del prossimo video). 



Ne segue che l'apprendimento e la gestione dei Ma-Ai è particolarmente articolata e complessa, tuttavia un paio di nozioni possono essere condivise di sicuro e fin da subito:

1) è più semplice affrontare e comprendere la gestione dello spazio-tempo tramite il buki waza, ossia con le armi (rispetto al taijutsu), poiché gli esercizi hanno (in generale) schemi motori più semplici ed essenziali;

2) abbiamo visto che le VARIAZIONI di velocità (ossia le accelerazioni/decelerazioni) sono il fattore determinate del Ma-Ai: questo parametro può essere "gestito" solo se può essere PERCEPITO; ne segue che l'aumento della SENSIBILITÀ è l'elemento cardine da sviluppare.

Ci vanno "sensori" adatti ad entrare in relazione con le grandezze che vogliamo percepire e quindi imparare a regolare: sembra forse contro-intuitivo, ma la decisione e tutte le forme di contrazione ad essa direttamente legate sono un ostacolo ad una buona percezione del Ma-Ai.

Più, invece, siamo rilassati... più questo risulta semplice (benché non facile): questo risulta uno dei tanti paradossi nei quali un aspetto meno marziale (come il rilassamento), di fatto ci permette di risultare più marziali... appunto governando al meglio lo spazio-tempo di un attacco!

Non sono pochi, in Aikido, i casi nei quali accade una cosa simile...

Un ultimo punto: il Ma-Ai non è determinato da COSA facciamo, ma da DOVE e QUANDO facciamo ciò che facciamo... ne segue che la parte del corpo più coinvolta è quella inferiore, ovvero quella che si occupa maggiormente degli spostamenti dell'intero corpo.

Un buon Ma-Ai è quindi sinonimo di rilassamento generale ed ottima prontezza e flessibilità nello spostamento. Più di questo, credo che solo la pratica possa insegnarci. Saper mantenere la "giusta distanza" è un principio - ed anche un valore aggiunto - che è possibile utilizzare nel quotidiano, ma ben al di là delle occasioni di scontro fisico.

Un buon Ma-Ai si può cercare nelle relazioni umane (e chiamarlo "prossemica"), nella espressione delle proprie emozioni e dei propri pensieri... insomma, si tratta di un principio che vale realmente la pena di spacchettare, perché i suoi benefici possano ricadere in molti aspetti del nostro vissuto.


Marco Rubatto